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Le 5 del mattino sono un orario perfetto per tante cose: innanzitutto mangiare (sì, tutto ciò che si ingerisce poco prima di andare a dormire è deleterio per qualsiasi metabolismo, ma DIO SOLO SA quant’è più buono il cioccolato di notte); guardare puntate arretrate del telefilm che tutti hanno già visto e che tu stai cercando di non farti rovinare facendo dribbling tra articoli e spoiler(s); dormire sul divano sdraiato a quattro di spade; navigare su internet e in siti non esattamente per famiglie, e tante altre cose che questo paese non mi da il permesso di dire (?).
Dicevo, le 5 sono l’orario ideale per tante cose. Anche per conoscere qualcuno, soprattutto se quel qualcuno, come te, non sta dormendo e ha visto il tuo Mac che illumina timidamente casa tua.

Ehi!

Sento ma non collego.

Ehi!

Ok, qualcuno sta attirando la mia attenzione, e non è una delle classiche allucinazioni sonore che ho da metà Maggio.
Mi giro e vedo una sagoma femminile al centro della finestra del palazzo di fronte al mio (questa è difficile ma non so dirla in altri modi).
Mi avvicino lentamente e quella silhouette si trasforma in un sorriso dai capelli lunghi e biondi e con una quarta di reggiseno.

Lavori a quest’ora?

Capisci che una persona è australiana quando per 5 minuti non fai altro che chiederti “non è inglese… non è americano… ma che cazzo di accento è?!“.

Amy è un’infermiera di Melbourne, è qui a Roma da circa due settimane e sta seguendo un corso di italiano con la sua amica Melissa.
Entrambe ripartiranno tra un mese e mezzo ma lei vorrebbe tornare a vivere e lavorare qui, almeno per un anno.
Passiamo mezz’ora a chiacchierare da una finestra all’altra, con lei seduta sul davanzale della finestra come Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, io sfodero il mio inglese imbarazzato neanche fossi Sofia Loren agli Oscar, e mentre conversiamo penso continuamente a quanto in quel momento tutto – TUTTO – sia dolcemente cinematografico.
Una scena che negli anni ’90 Nora Ephron avrebbe affidato a Tom Hanks e Meg Ryan e che io avrei amato con fazzoletti e pop corn troppo salati.
Lei è molto bella, una bellezza adulta e consapevole, sorride continuamente tra un “you know what I mean” e un mio “of course“.
E’ già stata in Italia 10 anni fa, facendo il classico giro Roma-Firenze-Venezia, più altre piccole città improbabili del Nord Italia che ho a malapena sentito nominare.
Mi chiede di cosa mi occupo e mi parla un po’ dei suoi interessi. Mi dice di amare il vino rosso, che questo quartiere è il suo preferito e che l’unica cosa che non sopporta sono i gabbiani che la svegliano ogni mattina all’alba – “che se ne tornassero al mare!“.

La mia mania di trovare somiglianze mi spinge a dirle “Conosci la serie tv Grey’s Anatomy? Mi ricordi la protagonista, Ellen Pompeo“.
Appena finisco la frase mi sento un sedicenne. Ma come mi è venuto in mente?
Lei si imbarazza, abbassa lo sguardo e diventa improvvisamente più seria.
Forse perchè adesso è buio e non mi vedi bene.”
Forse.”
Lo sguardo è ancora basso. Si tocca i capelli.
Io temo di essere una persona che ne ricorda altre. La gente quando mi conosce mi dice sempre che ricordo somebody’s somebody… la cugina di un fratello, l’amica di una amica.
Eppure non credo di essere così poco originale
.”
Ride. Quella risata arriva come una buona notizia, così rido anch’io, sollevato.

Una ragazza francese appare dal fondo della strada con aria spaesata. Ci ha sentiti parlare e ci chiede dove sia il civico 36.
Le indichiamo l’altro lato della strada, quello con i numeri pari (…), dopo di che Amy mi guarda, sempre sorridente, e mi chiede “ma che ci fa la gente sveglia a quest’ora?”.
Già, che ci fa?
Mangia, guarda la tv, va su internet e si conosce.
Ridiamo di nuovo.
Sono le 5e30. La nostra chiacchierata hollywoodiana from window to window ha fatto accendere più di una luce nei rispettivi palazzi, il che di solito simboleggia o l’incontinenza dei condomini o un presagio del più probabile “volete annà a dormì! chiamo la polizia“.
Siamo stati fortunati, viviamo in palazzi abitati da sordi incontinenti.
Mi rendo conto che l’alba sta chiedendo il permesso di rovinare tutto, così le rivelo che il giorno dopo avrei guidato per circa 6 ore e che purtroppo devo salutarla.
So goodnight“.
Lei sfodera il centesimo sorriso della serata e io le prometto di scriverle un po’ di indirizzi di ristoranti, club, locali e place to see.
Il rumorista sceglie il suono più adatto per una finestra in legno che si chiude e partono i titoli di coda.

Sono grato ai miei sceneggiatori per la notte di venerdì 18 giugno 2010.
Hanno fatto un bel lavoro, mi hanno regalato una sequenza che non mi porterà a nessuna nomination come migliore attore, ma che rientra nella categoria
magia tra individui“.

Moon river and me.

P.S. Ieri ho visto per la prima volta Colazione da Tiffany.

Lui ha circa 65 anni, capelli bianchi, viso lungo. Indossa maglioni di kashmire dai colori chiari e per quel che ne so non parla.
Ama leggere davanti alla finestra del suo salone, ha un’espressione tranquilla e non guarda mai fuori dai suoi metri quadri.
Solo l’altro giorno, dopo mesi, ha incrociato il mio sguardo.
Io mi ero affacciato per controllare la macchina (parcheggiata ovviamente malissimo) e l’ho intravisto intento a leggere davanti alla solita finestra.
Ho aspettato che lui si accorgesse di me per poterlo salutare. Ho sfoderato il tipico sorriso “sono il tuo nuovo vicino di casa, mi vedrai nella situazioni più disparate e a occhio croce molte delle cose a cui assisterai non ti piaceranno, però tu ancora non lo sai per cui… sorridimi” – e lui ha ricambiato con un generoso movimento di guance che hanno increspato il viso, rughe leggere come piccole onde.
Sua moglie avrà qualche anno in meno ma lo sguardo molto più stanco. Movimenti lenti e appannati di chi sta ripetendo la stessa giornata come fosse un sortilegio, al quale i muscoli del corpo ormai obbediscono senza resistenze nè domande.
L’ho vista pulire la finestra con i guanti dal celeste più saturo che io abbia mai visto.
Dalle loro due finestre, all’interno dello stesso ambiente, vedo una cucina. Una sorta di piccolo open space.
La stanza ha pochi mobili, l’impressione è che qualcuno sia appena andato via e la casa sia pronta ad ospitare nuovi inquilini, con due mensole gialle e arancioni che sembrano l’errore di una scenografa alle prime armi.
[“Lucy, è l’appartamento di una coppia di sessantenni, non di ventenni calabresi in Erasmus a Valencia!”]

L’altra sera, verso ora di cena, li ho visti seduti al tavolo insieme.
Anche in quel caso poche parole, magari c’era della musica in sottofondo, o più probabilmente la televisione.
Non mangiavano, dal modo in cui lei muoveva le mani sul tavolo sembrava stessero facendo un gioco.
Senza alcun motivo ho deciso tra me e me che si trattava di Scarabeo.
Lei accennava dei sorrisi sottili.
In quel momento sembrava contenta e libera dal sortilegio.